Mille mille bolle blu | Cooperazione

2022-09-10 05:35:06 By : Mr. Leo Lou

È diventato uno dei protagonisti indiscussi della nostra quotidianità. Deterge le mani e contribuisce a salvare vite. Niente male per un oggetto dall’apparenza banale. Viaggio nel profumato mondo del sapone.

Non si direbbe a vederlo così colorato e schiumoso, ma il sapone è uno dei nostri più preziosi alleati nella lotta contro virus e batteri.

Chi direbbe mai che quella che teniamo tra le mani, la nostra cara vecchia saponetta – con le sue essenze floreali, note agrumate, svariate forme, colori allegri – è un’arma di distruzione di massa? Questa insospettabile killer di virus e batteri e salvatrice di vite umane è tornata alla ribalta in periodo di pandemia.

Il sapone era già noto nell’antichità, ma è solo nel XIX secolo che ne viene riconosciuta l’efficacia in campo sanitario. Il dottore ungherese Ignaz Semmelweis intuì che numerosi casi di febbre puerperali e di decessi potevano essere evitati grazie a un’accurata pulizia delle mani da parte dei medici. Fu poi il medico scozzese Joseph Lister qualche anno più tardi, dopo aver preso conoscenza degli studi di Pasteur, a dimostrare il potere del sapone di interrompere le catene d’infezione. È a lui che dobbiamo l’introduzione delle regole igieniche nelle sale operatorie: dal lavaggio delle mani alla disinfezione degli strumenti chirurgici.

«Il sapone è una delle più vecchie invenzioni dell’umanità, sopravvissuto quasi intatto fino a noi. È un oggetto semplicissimo, poco inquinante e che salva delle vite. Per me è semplicemente un prodotto miracoloso». Ne è convinta Dorothée Schiesser, fondatrice di SapoCycle, un’organizzazione senza scopo di lucro con sede a Basilea, che ricicla le saponette degli alberghi di lusso, per crearne di nuove, e distribuirle a chi ne ha bisogno: nei paesi in via di sviluppo, ma anche alle nostre latitudini. L’intraprendente donna di origini francesi racconta così l’inizio di questa avventura: «Mio marito è albergatore e un giorno gli chiesi che fine facessero le saponette usate solo un paio di volte dagli ospiti. “Le buttiamo” mi rispose. Ho subito pensato che fosse uno spreco: ho vissuto in Camerun ed ero già sensibilizzata al tema delle malattie provocate da una mancanza di igiene. Secondo l’Unicef, un buon lavaggio delle mani può salvare la vita di 800 bambini al giorno in tutto il mondo».

Ed è così che nel 2015 Dorothée Schiesser fonda l’organizzazione di cui va fiera: «È un progetto che si basa su tre pilastri: c’è un aspetto ecologico, perché riciclare delle saponette ha un impatto ambientale minore che gettarle; c’è una valenza sociale, perché nel nostro laboratorio offriamo un posto di lavoro sicuro a persone affette da handicap mentale, che negli anni hanno acquisito autonomia e sono soddisfatte del loro operato; e infine, c’è un valore umanitario, perché rendiamo accessibile a persone bisognose un prodotto vitale. Insomma, la nostra è una situazione win-win-win». Ogni anno, gli oltre 120 hotel svizzeri che partecipano al progetto, consegnano circa 4 tonnellate di saponette a SapoCycle, che ad oggi ha prodotto circa 100mila saponette. Nel frattempo, l’organizzazione si è ampliata e dal 2018 conta anche una sede in Francia.

Paradossalmente, ora è proprio l’emergenza Covid-19 che rende impossibile la lavorazione dei saponi: l’atelier e tanti alberghi sono momentaneamente chiusi...

Indaffarata, invece, in queste settimane in cui ha avuto più tempo per la sua passione, Corinna Zacheo. Da anni si dedica alla creazione artigianale di sapone e offre corsi, frequentati soprattutto da donne interessate a confezionare un prodotto secondo i propri gusti, e sensibili alle tematiche ambientali, in particolare allo “zero rifiuti”. «Ho iniziato a produrre sapone circa 12 anni fa, quando alcuni pazienti (è infermiera in geriatria di formazione e riflessologa e pedicure di professione, ndr) mi parlavano dei loro problemi di pelle. Mi sono incuriosita e ho scoperto un mondo».

Ma di cosa è fatto quindi questo “prodotto miracoloso”? «Gli ingredienti fondamentali sono solo tre: acqua, grasso o olio e soda caustica. Ma tutta l’arte sta nel combinare i vari tipi di olii e liquidi: oltre all’acqua, si prestano molto bene anche latte di capra o di pecora, ma anche frullato di cetriolo o di anguria. Ci sono olii più ricchi e altri più leggeri, per le esigenze di ognuno. Il burro di karité o di avocado, per esempio, sono molto nutrienti e si prestano bene per la confezione di saponi per pelli delicate o molto secche; l’olio di cocco invece è più secco e, assieme a quello di cartamo, è indicato per pelli più grasse. Gli olii essenziali, invece, spesso hanno una funzione limitata ma conferiscono un particolare profumo alla saponetta. Gli olii di agrumi o lemongrass hanno una leggera tendenza a seccare la pelle e ad avere un potere sgrassante, mentre il patchouli a lenirla» spiega Corinna Zacheo, che nel frattempo è diventata una specialista di saponi e ne produce oltre venti varietà a centinaia di pezzi all’anno. «Ma non li vendo tutti subito. Ne tengo anche in stock, perché una saponetta, come un buon vino, più è matura, meglio è. Diventa più delicata, si consuma meno rapidamente e fa più schiuma. Quando è appena confezionata invece è molto alcalina e quindi ancora aggressiva».

Per eliminare batteri e virus è importante fregare bene le mani almeno 20 secondi.

Non è alcalino il cugino più recente della saponetta solida, il sapone liquido, che in queste settimane, assieme anche a prodotti disinfettanti, è tra gli articoli più venduti, come ci conferma Christian Koch, direttore di Steinfels Swiss, la ditta che produce, tra gli altri, i saponi liquidi Naturaline e Wel!, così come il liquido disinfettante per Coop. «I clienti apprezzano la praticità e la gradevolezza dei saponi liquidi nella vita quotidiana, la maggior parte li preferisce a quelli solidi. Normalmente produciamo circa 1.000 tonnellate di sapone liquido all’anno. Ora, a causa del Coronavirus, la produzione è aumentata del 20%. Per quanto concerne il disinfettante per le mani, attualmente ogni settimana ne produciamo quanto in situazione normale in un anno» . E se il disinfettante è efficace quanto il sapone contro il virus, non pulisce le mani, come ricorda anche Koch, secondo cui un buon sapone deve essere adatto per lavaggi frequenti, soprattutto in questo periodo di Covid-19. «Per evitare che le mani si secchino, è importante sceglierne uno che abbia un pH rispettoso della pelle (circa 5.5), che contenga una componente idratante e che la sua tollerabilità sia dermatologicamente testata».

Armiamoci quindi di saponi e saponette. Perché, come ribadisce anche il chimico cantonale aggiunto nell’intervista a pag. 26, lavarsi le mani è fondamentale per ridurre la catena di contagio.

Per concludere, lasciamoci contagiare dall’allegria e dalla creatività del ballerino vietnamita Quang Dang, che, sul lavaggio delle mani, ha creato una coreografia diventata, subito, virale.

La più antica attestazione storica del sapone si trova su una tavoletta sumera di oltre quattromila anni fa, in cui è menzionata una ricetta con alcali e olio di cassia. All’epoca il sapone non veniva usato per la pulizia, bensì per la disinfezione di ferite. Sono note anche testimonianze nei papiri egizi, mentre Plinio il Vecchio cita il “sapo” dei galli (da cui deriva la nostra parola “sapone”), che lo avrebbero usato a scopo cosmetico per i capelli.

Nel II secolo, Galeno lo menziona come medicinale e come mezzo di pulizia del corpo. Ma sono gli arabi a creare il sapone solido come lo conosciamo noi oggi: il sapone d’Aleppo è l’antenato dei nostri attuali.

Nel Medioevo sorgono saponifici sulle coste del Mediterraneo, tra cui spicca il sapone di Marsiglia.

Anche in Svizzera sono attestati saponifici artigianali: dai registri delle corporazioni basilesi del XVI secolo, si evince che la fabbricazione di sapone, così come quella di candele, era un’attività accessoria dei macellai, che disponevano di strutto.

Nell’Ottocento si scoprono le proprietà sanitarie del sapone e ha inizio la sua produzione industriale, grazie anche al chimico e medico francese Nicolas Leblanc, che aveva inventato il metodo di produrre il carbonato di sodio a partire dal sale: da prodotto artigianale di lusso, il sapone inizia a diventare un prodotto di uso comune.

Nel 1865, l’impresario americano William Sheppard brevetta la formula del sapone liquido, che conoscerà un grande successo in tutto il mondo.

Una curiosità: il termine “soap opera” si deve ai racconti a puntate trasmessi via radio negli anni ’30 del ’900, sponsorizzati da produttori di sapone e detergenti.

Quando si è scoperta l’importanza di lavarsi le mani?

L’utilizzo del sapone è noto fin dall’antichità, ma la consapevolezza che il lavaggio delle mani possa rimuovere anche batteri patogeni è più recente, probabilmente risale alla metà-fine dell’800 dopo gli studi di Pasteur, Koch e Lister. Con l’arrivo del Coronavirus la consapevolezza dell’importanza di lavarsi le mani è aumentata: l’igiene delle mani e la distanza sociale sono le due misure più efficaci per impedire la trasmissione del virus.

Secondo quale processo chimico il sapone lava le mani ed è efficace contro i virus?

Il sapone è composto da molecole che hanno due estremità diverse. Una parte di queste molecole è attratta dall’acqua, mentre l’altra dal grasso. Quindi, quando laviamo le mani, le molecole di sapone si dispongono attorno alle particelle di grasso, con la parte attratta dal grasso verso l’interno e con la parte attratta dall’acqua verso l’esterno. In questo modo le particelle di grasso vengono sciolte nell’acqua e rimosse dalle mani. La maggior parte dei batteri e dei virus, compreso il Coronavirus, è inclusa in una membrana di acidi grassi, e quindi interagisce con il sapone come se fosse una particella di grasso: il sapone si lega alla parte esterna del virus, danneggiandone la membrana cellulare e rendendolo inattivo. E sciacquandoci le mani, lo laviamo via.

C’è una differenza tra la classica saponetta solida e il sapone liquido?

Per quanto concerne l’effetto detergente o di pulizia no. Perché la pulizia delle mani sia efficace, è però importante fregare bene le mani per almeno per venti secondi, in modo da raggiungere tutti i batteri e i virus e dare tempo al sapone di agire. C’è invece una differenza nella formulazione: nel sapone liquido spesso sono aggiunte sostanze che lo possono rendere più cremoso o più profumato. Ci sono inoltre anche saponi disinfettanti, che però sono indicati solo in situazioni particolari. Nella maggior parte delle situazioni, l’azione di un sapone qualsiasi è abbastanza efficace da eliminare i batteri.

È sicuro un sapone usato da altre persone?

Sì. Se chi l’ha usato prima di noi dovesse aver avuto microbi sulle mani, questi potrebbero restare sulla saponetta, però in forma inattiva, ossia incluse nelle molecole del sapone di cui parlavamo prima. Infatti, dal momento in cui un’altra persona prende in mano la saponetta e la mette sotto l’acqua per sciacquarla, li rimuove. L’importante però è che la saponetta possa sempre asciugare, perché un ambiente umido potrebbe favorire una proliferazione di microorganismi. Va comunque detto che possiamo avere lo stesso tipo di contaminazione anche sulla pompetta dei saponi liquidi.

Qual è la differenza dell’utilizzo di un sapone o di un gel disinfettante?

I disinfettanti sono indicati quando non ci si può lavare le mani con il sapone e in situazioni di igiene particolari, come ad esempio negli ospedali. Quando possibile, è preferibile ricorrere al sapone: ha un’azione meno aggressiva sulla pelle e normalmente dà lo stesso risultato. Inoltre il sapone, oltre a pulire le mani dai virus, rimuove anche lo sporco ed eventuali sostanze tossiche.

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